La mia opinione

Il precariato tra verità e leggenda

Negli ultimi tempi si parla moltissimo di precariato, senza precisare bene il significato che si vuol dare a questa parola. Ognuno cerca di proporre soluzioni per risolvere il problema del precariato, senza curarsi di stabilire se esso sia davvero un problema. Se analizziamo la forza lavoro occupata negli ultimi trenta o quarant’anni, scopriamo che gli occupati nei settori agricoltura e industria, sono passati dall'80% degli anni ’60 a poco più del 30% di oggi.

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    Questa migrazione di milioni di lavoratori è avvenuta con forti ridimensionamenti industriali, licenziamenti collettivi, cassa integrazione a zero ore continuata per anni e anni, ecc. Se la precarietà, intesa come mancanza di sicurezza del posto di lavoro, ha prodotto questi risultati negli anni di maggiore stabilità economica e di massima tutela dei lavoratori, significa che essa è sempre esistita. Gli unici lavoratori che hanno una ragionevole sicurezza di mantenere a vita il posto di lavoro sono i dipendenti pubblici; i quali sono molto più numerosi oggi che nel passato. Pertanto, avendo dimostrato che i dipendenti delle aziende private sono sempre stati incerti sulla conservazione del posto di lavoro, mentre è altrettanto dimostrato che i dipendenti pubblici sono gli unici lavoratori stabili, si dimostra logicamente che le collettività con maggiori dipendenti pubblici sono quelle meno interessate alla precarietà. In conclusione dobbiamo quindi ammettere che oggi in Italia c’è meno precarietà che trent’anni fa. 

  • punto interrogativo

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  • freccia che indica una direzione da seguire

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Ho smesso

Volevo assumere un dipendente, poi ho scoperto che avrei dovuto:

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    • Fare da esattore per le sue tasse nei confronti del fisco;
    • Calcolare ogni mese la maturazione del suo TFR e versarlo in un fondo previdenziale, per suo conto;
    • Amministrare, dal punto di vista fiscale, le sue spese deducibili o detraibili, anche personali e familiari;
    • Fare da esattore per le sue quote sindacali;
    • Saldare o rimborsare le sue tasse personali e familiari, andando a cercare sul sito dell’Agenzia delle Entrate il suo eventuale mod. 730;
    • Versare dei contributi obbligatori per fondi sanitari di categoria;
    • Versare contributi obbligatori a favore di imprecisati enti bilaterali, senza nessuna finalità pratica;
    • Redigere un corposo e confuso documento di valutazione dei rischi lavorativi, anche se questi non esistono;
    • Fargli fare degli inutili corsi per la sicurezza sui luoghi di lavoro;
    • Fargli fare dei corsi per il trattamento dei dati personali;
    • Pagargli due o tre giorni di stipendio in più, se decide di prestare servizio a un seggio elettorale;
    • Istituire un servizio di prevenzione rischi, istruendo un addetto al primo soccorso e nominando un responsabile, da formare con appositi corsi;
    • Nominare un medico per fargli fare delle visite periodiche di idoneità al lavoro, anche se sta tutto il giorno in ufficio;
    • Mettere a norma il luogo di lavoro, dal punto di vista impiantistico e degli accessi, calcolando che ogni due o tre anni le regole per gli impianti a norma vengono modificate e bisogna rifare tutto da capo;
    • Pagarlo quando è assente perché si è rotto una gamba a sciare o si è ubriacato in discoteca;
    • Vigilare perché non sia stressato sul posto di lavoro, perché sarebbe una mia responsabilità;
    • Vigilare perché si metta sempre gli indumenti protettivi; se decide di toglierli e si fa male, è una mia responsabilità, anche penale;
    • Volevo assumere un dipendente, ma ho smesso.

Quello che è gratis non vale niente

Sentiamo spesso questa frase.

Molti sono convinti che esprima una verità.

In realtà questa frase è profondamente sbagliata, è all’opposto della verità perché non solo esprime un principio falso, ma addirittura è vero il suo contrario. Proviamo a enunciare il contrario della frase incriminata, in varie formulazioni:


  1. Quello che è gratis vale molto;
  2. Le cose che valgono di più sono quelle gratuite;
  3. Ciò che abbiamo di più prezioso, l’abbiamo ottenuto gratis.
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    Di queste formulazioni, tutte contrarie al luogo comune che vogliamo smascherare, quella che mi pare la più vera è la terza: “ciò che abbiamo di più prezioso, l’abbiamo ottenuto gratis”. Pensiamo all’amore che riceviamo dai genitori, o dai nostri familiari. Ci è indispensabile per vivere e non ci costa nulla. Anche l’amicizia che otteniamo da tante persone con cui entriamo in contatto,

    vera linfa per la nostra vita, non ha prezzo e non sborsiamo nulla per averla. 

    Ma qui siamo su un piano sentimentale, mentre spesso la frase qui commentata viene pronunciata in un contesto economico o commerciale. Tirando in ballo i sentimenti posso essere accusato di spostare il fulcro della discussione su un piano diverso, quindi di usare un artificio retorico per rafforzare ad arte le mie argomentazioni.


    Anche cambiando il contesto dell’osservazione, il risultato non cambia, resta sempre dimostrabile che ciò che abbiamo di più prezioso, lo otteniamo gratis. Pensiamo per esempio alla cultura e a tutti quegli insegnamenti che formano la nostra personalità

    intellettuale: basta andare in una biblioteca e aprire un libro di filosofia, e subito le migliori menti di tutti i tempi mettono a nostra disposizione la loro saggezza e il frutto delle loro ricerche.

    Questo vale per volumi di scienze, per le meraviglie e i segreti dell’universo, per l’affascinante mondo degli animali o delle piante e per un’infinità di altre materie. Tutta questa ricchezza viene messa gratuitamente a nostra disposizione, ed è una ricchezza sterminata, praticamente inesauribile.

    Se camminiamo in una qualsiasi città d’arte, quindi praticamente in ogni città italiana, ci viene incontro una quantità infinita di bellezza. Mettiamo gratuitamente sotto i nostri occhi dei capolavori di arte e di genio creativo, di immenso valore. Tutto questo ci arricchisce e aumenta il nostro indice di felicità, senza costarci un soldo.


    Se vogliamo andare ancora di più verso i beni concreti e materiali, possiamo constatare che la gratuità dei beni di maggior valore è affermata anche a livello ufficiale e, addirittura, normativo. Penso alla donazione del sangue, ad esempio. Penso anche all’art. 2 della legge 458 del 1967. Questa legge si occupa della donazione di organi fra viventi (es. rene). Il quarto comma di questo articolo dice:


    L’atto, che è a titolo gratuito e non tollera l’apposizione di condizioni o di altre determinazioni accessorie di volontà, è sempre revocabile sino al momento dell’intervento chirurgico e non fa sorgere diritti di sorta del donatore nei confronti del ricevente. In pratica il legislatore si è preoccupato di sottolineare e salvaguardare la gratuità di questa operazione. La donazione di un organo salva la vita, anche la donazione del sangue può salvare una vita. Entrambe queste azioni avvengono gratuitamente, per legge.

    Non credo proprio che qualcuno possa affermare che la vita “non vale niente”, eppure la possiamo ottenere da un donatore, che ha il vincolo di agire nella più assoluta gratuità.  In questo solco possiamo parlare della generosità dei volontari, delle tantissime persone che mettono gratuitamente a disposizione il loro tempo, spesso la loro professionalità, a volte la loro intera vita, a favore del prossimo. Lo fanno per carità, per religione, per passione civile, per imperativo etico. Lo fanno per i più vari motivi, ma lo fanno gratis.

    Ancora può sorgere la critica di essermi spinto su territori lontani dall’economia o dall’organizzazione sociale delle comunità. Chi sostiene che ciò che è gratuito non vale niente, potrebbe obiettare che questa affermazione resta vera in ambiti puramente economici. Ebbene, anche il mondo dell’economia e dello scambio, non potrebbe reggersi se non fosse immerso nella gratuità. Si potrebbero fornire centinaia di citazioni, di economisti e sociologi che evidenziano l’azione catalizzatrice della gratuità, in ogni collettività e in ogni tempo. Voglio citare solo un insegnamento, vecchissimo ma sempre attuale, che afferma senza ombra di dubbio e senza tema di smentita, quanto finora sostenuto. 

    Si tratta di una disposizione tratta dalla Bibbia, precisamente dal libro dell’esodo: (esodo 22, 25-26) “Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo restituirai al tramonto del sole, perché quello è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle, con il quale dormirà.”


    Come si vede, il legislatore biblico – qui si parla di prestiti su pegno – si preoccupa di un aspetto umano, facendolo prevalere sull’utilitarismo economico. Non dice: vedrai che dopo una o due notti a tremare dal freddo, il tuo debitore ti restituirà il prestito”. Dice proprio il contrario: poiché il mantello è indispensabile nelle fredde notti del deserto, il creditore che lo ha preso in pegno, lo deve restituire al calar del sole, rinunciando gratuitamente a un pegno efficace, perché rispetto all’onerosità del pegno, deve prevalere la gratuità della sollecitudine umana. Quindi, d’ora in poi, quando sentite la frase “quello che è gratis non vale niente”, non fatela passare sotto silenzio, non annuite come se foste convinti anche voi. Richiamate alla memoria alcune di queste considerazioni, arricchendole con le moltissime vostre convinzioni in proposito e affrettatevi a confutare questa frase, perché è contraria alla verità ed è contraria alla nostra quotidiana esperienza. 

  • labirinto visto dall'alto

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